Marchio o logo? Anche se nel linguaggio comune il termine logo li identificano entrambi, è bene precisare che si tratta di elementi dal significato distinto.

 

LOGO/LOGOTIPO
Il termine logo (dal greco logos=parola) è l'abbreviazione di logotipo e si usa per indicare la scritta (il nome) di un'azienda o di un brand. Il logo, solitamente, è un elemento di testo scritto con la font istituzionale che può essere più o meno caratterizzata

 

MARCHIO
Il marchio è un simbolo grafico atto a rappresentare, in sintesi, un'azienda, un prodotto o una marca (brand) evocandone i valori, i caratteri distintivi e l'identità visiva

Il marchio, solitamente, è abbinato al logotipo (vedi Vodafone e Sfera), ma esistono marchi che possono vivere separati dal logo. In questo caso il marchio è sufficientemente conosciuto per cui il brand è identificabile anche senza l'inserimento del nome

 

MARCHIO & LOGO
Il marchio, solitamente, è abbinato al logotipo (vedi Vodafone e Sfera), ma esistono marchi che possono vivere separati dal logo. In questo caso il marchio è sufficientemente conosciuto per cui il brand è identificabile anche senza l'inserimento del nome

Assai più comune è incontrare dei logotipi che per la loro caratterizzazione sono essi stessi un "marchio”

Oggi il grande pubblico è sempre più interessato all'immagine e al significato dei simboli visivi ed è sensibile alla qualità comunicativa di un marchio. Caratteristiche importanti di un marchio/logo sono il design, il buon riconoscimento della marca e la capacità evocativa.
A causa della molteplicità dei prodotti e dei servizi proposti oggi, l'esigenza di un segno distintivo “unico” è ancora più forte e il marchio/logo è il fondamento dell'immagine aziendale. Un buon marchio/logo progettato professionalmente diventa basilare per qualunque azienda commerciale o per un prodotto che si vuole promuovere attraverso i media visivi.

Creazioni e realizzazioni di stemmi nobiliari, borghesi, aziendali

L’Araldica così come oggi si intende ebbe origine nei tornei, dal sorgere della cavalleria e, naturalmente, dalle Crociate. Dunque, dagli antichi emblemi personali e di clan, si cominciarono ad usare stemmi nei tornei, blasoni che si svilupparono nelle Crociate e furono perfezionati e codificati dagli Araldi. Dal 1037, la “Constitutio de Feudis” dell’Imperatore Corrado II il Salico, aveva reso ereditari i feudi che da quel momento entrarono a far parte dei patrimoni dei vassalli, fu così che lo stemma divenne coefficiente politico in quanto simbolo e “firma” di una determinata famiglia e si rese necessaria un’opera di “censimento araldico”, quella che io amo definire “l’Anagrafe a Lunga Scadenza”. Gli Araldi crearono la scienza del blasone, preoccupandosi di renderla enigmatica ed ermetica. Essi godevano d’immunità pari, ed a volte superiori, a quelle degli ambasciatori, erano in pratica i cerimonieri di corte che prendevano parte a tutti gli avvenimenti rilevanti, curandone l’etichetta ed il cerimoniale. A torto si crede che gli stemmi araldici siano, prerogativa ed esclusiva distinzione delle famiglie nobili. È pacifico che gli uomini d’arme furono i primi a fregiarsi di stemmi, ornando i loro scudi con emblemi che in seguito divennero ereditari, più tardi nacque quella nobiltà detta di toga e di cittadinanza, che riguardando prettamente un’entità socio politica, assunse a poco a poco, le prerogative della nobiltà di spada. Il clero stesso ha sempre e giustamente adottato la regola di usare armi araldiche. Nella Chiesa, gli stemmi non esprimono un segno di nobiltà, ma indicano un incarico o una dignità ecclesiastica. Qualunque personaggio, nobile o no, appartenente alla gerarchia della Chiesa, unicamente per il grado o il suo incarico, ha il dovere di assumere uno stemma personale, se già non ne possiede uno, quest’usanza al giorno d’oggi è mantenuta solamente dalle alte gerarchie ecclesiastiche, iniziando da Abati e Vescovi. Nel XVII secolo, tutti i sacerdoti “de Curia”, adottarono uno stemma. Tutte le persone appartenenti ad un consiglio municipale fecero altrettanto, giacché divenute autorità sociali, sia nobili, militari, o semplici rappresentanti delle arti artigiane o commerciali. Furono i sovrani dei vari stati che, volendo fare dell’araldica e della nobiltà una loro esclusiva emanazione e prerogativa, nel XVIII secolo stabilirono regole concernenti gli stemmi ed alle distinzioni fra loro. Dopo la rivoluzione francese, tornò, più insaziabile di prima, la “moda” per i titoli antichi e per quelli “ex novo”. Nel XIX secolo, le leggi araldiche registrarono un inasprimento, rispetto alla ragionevole larghezza sino allora praticata. Si ammise l’uso ufficiale di stemmi, solamente alle famiglie nobili, o meglio, a quelle dichiarate tali dai rispettivi Governi (che incassavano tasse di concessione o conferma), e alle famiglie di provata e distinta civiltà. Gli stemmi, invece, sono un complemento e un simbolo del cognome. Gli stemmi devono essere tutelati unitamente al diritto della persona a possederne uno in quanto lo stemma conserva la sua natura di diritto soggettivo perfetto, non essendo stato travolto, giustamente, dalla XIV norma transitoria della Costituzione. Lo stemma, infatti, non ha eminentemente carattere nobiliare, giacché viene portato anche da famiglie non assolutamente nobili. Esso è un segno figurativo familiare ed infatti i Padri Costituenti, nella norma XIV non hanno abrogato implicitamente tutta la legislazione precedente in materia araldica, ma solo quella parte incompatibile con la Costituzione repubblicana. L’incompatibilità riguarda, nella specie, il solo riconoscimento dei titoli nobiliari. Dalla norma, infatti, non si desume che il divieto concerna anche gli stemmi che possono sussistere indipendentemente dallo stato nobiliare di una persona. Si guardi ad esempio la Confederazione Elvetica e la Repubblica dell’Austria dove: i titoli nobiliari sono proibiti dalla Legge (quindi una restrizione ancor più severa che quella italiana) ma gli stemmi no! “De Iure Condendo” anche in Italia, come nel resto d’Europa, il cittadino dev’essere libero di crearsi uno stemma araldico come proprio simbolo cognominale, se non ne possiede già uno, essendo erga omnes riconosciuto che uno stemma è un segno figurativo avente funzione identificatrice di un dato cognome, la sua tutela dovrebbe seguire quella del nome [cognome] con gli articoli 6, 7, 8 del Codice Civile, ristabilendo l’antico diritto allo stemma poi abbandonato dalle persone, in osservanza di leggi restrittive emesse da tutti i regimi monarchici che vietarono l’uso degli stemmi da parte di famiglie non nobili. É noto che in certi cantoni della Svizzera, coloro che sono ascritti alla borghesia di una città (dico borghesia in senso storico, non nel senso distorto usato odiernamente), in quanto divenuti coefficienti politici dello Stato, oltre le loro generalità e professioni, devono registrare nell’albo municipale anche il loro stemma araldico. Trovare uno stemma di una certa famiglia, inserito in qualche antico blasonario, o stemmario che dir si voglia, e oggi non riscontrare la famiglia in oggetto annoverata fra le casate nobili, fa presumere e dimostra, salvo i casi di palese falsificazione, che detta famiglia possedette un’antica civiltà, che, se vogliamo, è seme e fondamento di nobiltà, o meglio che la famiglia in oggetto, pur possedendo antica nobiltà, non richiese ai rispettivi Governi alcun provvedimento di riconoscimento o conferma della nobiltà avita, ritenendoli superflui ed ingiusti poiché la nobiltà, una volta acquisita, si tramanda per “iure sanguinis” diritto di sangue. Umili famiglie, d’artigiani e commercianti, ebbero la cognizione precisa della scienza e del metodo araldico di comporre stemmi. A Soletta, dove fiorì una cospicua corporazione di conciatori di pelli, si può ammirare, al Museo storico Blumestein, una meravigliosa tavola rotonda con raffigurati 155 stemmi a colori. Quei blasoni appartennero a semplici artigiani conciatori di pelli, e dimostrano l’alto concetto araldico avuto da queste famiglie nel scegliersi uno stemma e nel comporselo. 

 

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