Kore, figlia di Demetra e di Zeus, era la vergine dea che simboleggiava il grano verde (essa veniva chiamata Persefone quando simboleggiava il grano maturo, mentre quando simboleggiava il
grano raccolto era denominata Ecate). Questi tre nomi comunque ricordano la sua stessa madre Demetra poiché la sua figura ricorda il campo arato tre volte connesso al rito della
fertilità.
Ade (Plutone), dio degli Inferi, si innamorò di Persefone (la Proserpina dei Romani) e chiese a Zeus il permesso di sposarla. Questi, per paura che Demetra non avrebbe mai perdonato che la
figlia fosse confinata nel Tartaro, non rispose né sì né no, ma Ade si sentì autorizzato a rapire la divina fanciulla.
Così, mentre Persefone coglieva fiori nei prati adiacenti il lago di Pergusa insieme con le sue amiche ninfe (tra cui Ciane che per le lacrime versate si trasformò in fiume sotterraneo ed
andò a riaffiorare a Siracusa), fu rapita da Ade e condotta con lui nel Tartaro, il regno sotterraneo dei morti.
Demetra cercò Kore per nove giorni e nove notti, senza mangiare né bere e invocando disperatamente il suo nome. Il decimo giorno giunse a Eleusi dove le venne raccontata la visione di un
carro misterioso trainato da cavalli neri che era comparso e poi scomparso in una voragine e il cui invisibile guidatore teneva saldamente avvinta una fanciulla urlante. Avuta la prova
dell'ignobile rapimento con la probabile complicità di Giove, Demetra, piuttosto che salire all'Olimpo per incontrare il padre degli dei, si mise a vagare furibonda sulla terra, impedendo alla
natura di rifiorire e produrre frutti, tanto che l'umanità stessa minacciava di perire. Zeus non osava recarsi da Demetra ad Eleusi, ma le inviò messaggi e doni prontamente rifiutati dalla dea
che, anzi, giurò che la terra sarebbe rimasta sterile finché non le fosse restituita l'adorata figlia. Zeus affidò ad Ermes un messaggio per Ade: "Se non restituisci Kore, andremo tutti in
rovina". Un altro messaggio inviò a Demetra: "Avrai tua figlia Persefone, purché non abbia assaggiato il cibo dei morti". Poiché Kore aveva rifiutato di mangiare fin dal suo rapimento, Ade fu
costretto a promettere la sua liberazione e salire sul carro. Ad Eleusi Demetra era pronta ad abbracciare la figlia, ma saputo che Persefone era stata accusata di aver assaggiato sette chicchi di
melograno nel regno dei morti, ricadde nella disperazione e minacciò di maledire ancora la terra.
Zeus, con i buoni uffici di Rea (madre sua e pure di Demetra nonché di Ade), creò un compromesso: Persefone avrebbe trascorso ogni anno tre mesi in compagnia di Ade, come regina del
Tartaro, e gli altri nove mesi con sua madre. Così Demetra risalì all'Olimpo non prima di aver ricompensato chi l'aveva aiutata nella ricerca: a Trittolemo diede semi di grano, un aratro di
legno, un cocchio, e lo mandò per il mondo ad insegnare l'agricoltura agli uomini.
Persefone simboleggia l'alternanza delle stagioni e rappresenta la parabola "se il grano non muore non cresceranno le messi". Nei misteri eleusini rappresentava il candidato all'iniziazione
che passa attraverso la morte per rinascere e accedere alla conoscenza.
DAFNE: ninfa, figlia del dio fluviale Peneo, corteggiata da Apollo, vistasi perduta, implorò suo padre che la trasformò in alloro. Apollo, vista la metamorfosi della
ninfa, decretò che, da quel momento, la pianta sarebbe servita per incoronare i poeti, gl'imperatori e i più valorosi guerrieri.
CIPARISSO: giovinetto caro ad Apollo, dopo aver erroneamente ucciso il cervo dalle corna d'oro che il dio gli aveva regalato, volle morire, ma il dio, impietosito, lo
tramutò in cipresso, simbolo della tristezza e sacro ad Ades, dio dei morti.
GIGANTOMACHIA: i giganti nacquero dal sangue (caduto sulla terra GEA) di Urano, quando fu evirato dal figlio Crono. La scena rappresenta il momento in cui essi cercano
di strapparsi dal corpo le frecce avvelenate col sangue dell'Idra di Lerna scagliate da Ercole. I Giganti, soprafattori e malvagi, avevano osato sfidare Zeus per sovvertire l'ordine divino. Erano
immaginati con serpenti al posto dei piedi al centro il loro capo Eurimedonte.
ESIONE: è raffigurata mentre addita un drago marino; il mostro ferito mortalmente da Ercole, si dimena in mezzo al mare. Il mito racconta che Laomedonte, re di
Troia, padre di Esiòne e di Priamo, aveva il vizio di non mantenere la parola data. Così fece con Nettuno che lo aiutò a erigere le mura di Troia. Nettuno perciò inviò un mostro che sterminava
uomini e bestie. Era una vera sventura e l'oracolo sentenziò che, per porre fine a tale calamità, bisognava sacrificare la bella figlia Esiòne. Ercole si offrì di liberare Troia dal mostro a
patto che Laomedonte gli regalasse i cavalli che aveva avuto in dono da Zeus per il rapimento di Ganimede, ma quando egli liberò la giovane dalla mala sorte, Laomedonte non mantenne il patto e
così Ercole lo uccise.